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Scoprire la Magna Graecia e altri siti storici del Cilento

Periodo consigliato: Tutto l'anno, approfittando delle belle giornate.

Una meraviglia che non si finisce mai di ammirare.
Sono i templi di Paestum: 2500 anni di candida pietra calcarea che con la loro mole imponente ci ricordano che cosa era in un lontano passato questo territorio e quali tesori ancora custodisce di un tempo che fu. Alle porte del Cilento e dell'antica Magna Graecia questi tre giganti, eclatanti sopravvissuti di altre epoche e di altre civiltà sono insieme il monito a custodire gelosamente il retaggio dei secoli trascorsi e il richiamo alla bellezza e al valore dei segni del passato.

Siamo nell'antica Poseidonia, la colonia greca poi divenuta Paistom e Paestum in età lucana e romana, che quasi miracolosamente ci ha trasmesso i consistenti resti di questi tre gioielli archeologici, invidiati e ammirati da tutto il mondo. Il cosiddetto Tempio di Nettuno (dedicato in realtà forse ad Hera), maestoso monumento sacro risalente al 470 circa a.C., al centro del sito e il meglio conservato dei tre con il suo frontone subito riconoscibile e la facciata in stile dorico classico; la cosiddetta Basilica (databile intorno al 530 a.C., anch'essa un Heraion), con la sua particolarità del fronte di nove (insolito numero dispari) colonne; il meno grande Tempio di Atena (fine VI secolo a.C:), all'estremità settentrionale della polis circondata dalle mura le cui rovine sono ben visibili tutt'intorno per diversi filari.

 

I grandiosi edifici sacri sono di certo l'elemento di spicco. Ma sarebbe un errore dimenticare gli altri resti della città antica (dalle case private alle costruzioni pubbliche, come Bouleuterion, Anfiteatro e cosiddetta Piscina) e tutto quanto si può scoprire nel locale Museo Nazionale. Un vero scrigno di preziose testimonianze da diverse epoche: dalla fase preistorica a quella classica e a quella romana. Corredi funebri, resti architettonici e scultorei, documenti epigrafici, monete e altri utensili metallici, passando anche per le eccezionali lastre dipinte ritrovate nelle necropoli sparse nel territorio, tra le quali spiccano quelle della celebre Tomba del Tuffatore (480 a.C. circa).

 

L'altro polo di attrazione dell'archeologia del territorio è senz'altro Velia, ma prima di arrivare alla città del filosofo Parmenide, è bene ricordare altri indizi del passato che si incontrano lungo il percorso. Se ne trovano a San Marco di Castellabate, dove furono rinvenuti residui di strutture del porto di età romana imperiale e nella vicina Santa Maria che nella Villa Matarazzo ospita l'Antiquarium che conserva anfore parte del carico di antichi relitti e ancore appartenute a navi affondate in diverse epoche al largo della costa.

 

La Torre Angioina che svetta sul promontorio di Castellammare della Bruca, su cui si trovava l'acropoli della città antica, appare come una sorta di faro costiero a ricordarci la presenza di Hyele o Elea, in età greca, poi Velia, in età romana (oggi Marina di Ascea). Qui si respira Magna Graecia, nel sito fondato dai coloni di Focea, esuli dall'Asia Minore, a metà del VI secolo a.C. e presto divenuto, grazie alla scuola filosofica creata dal pensiero di Parmenide e del principale allievo Zenone, un punto di riferimento culturale oltre che un centro di traffici marittimi fiorente per diversi secoli nell'antichità.

La visita del Parco archeologico (leggi scheda dedicata), in cui le evidenze archeologiche sono immerse nella natura del luogo fatto di macchia mediterranea e uliveti, inizia dalla parte bassa della città che un tempo era direttamente sul mare oggi distante alcune centinaia di metri. Costeggiando il circuito murario che nell'attuale fisionomia risponde al rifacimento di IV secolo a.C., varchiamo la Porta Marina Sud. Qui si osservano i resti degli isolati di età romana del cosiddetto Quartiere meridionale, dove spiccano il criptoportico a tre bracci di età augustea (inizio I secolo d.C.) e le Terme Adrianee (II secolo d.C.), impreziosite dal bel mosaico con animali e mostri marini della sala del frigidarium.

 

Salendo lungo la via che si inerpica sul colle si arriva davanti al monumento simbolo del sito, la cosiddetta Porta Rosa. Il varco di collegamento con la parte nord della città, una costruzione che rappresenta uno straordinario esempio (databile alla seconda metà del IV secolo a.C.) dell'uso dell'arco da parte dei Greci. Sull'acropoli possiamo vedere i resti del teatro romano (II secolo d.C.) e sotto la Torre medievale (XI-XII secolo) parte del basamento del tempio che dominava il promontorio nel V secolo a.C. E i due antiquaria allestiti nelle due chiesette presenti, la Cappella Palatina e la Chiesa di Santa Maria, offrono con i loro reperti (epigrafi, sculture, oggetti in terracotta o metallo) una testimonianza del sito dall'età classica a quella ellenistica e poi romana.

 

Collegato ad Elea, almeno in una fase più antica, come punto strategico a difesa del proprio territorio, dovette essere il sito della Civitella di Moio, che più tardi potrebbe essersi connotato piuttosto come avamposto di gruppi lucani o centro greco-italico, di popolazione mista. Sulla strada che ci porta verso questo posto merita una tappa la Badia di Santa Maria di Pattano (leggi scheda). Fondata dai monaci bizantini alla fine dell'VIII secolo, è forse il monastero italo-greco meglio conservato del sud Italia.

Gli elementi più antichi visibili oggi risalgono al IX-X secolo, epoca alla quale si datano gli affreschi nell'abside della chiesa di San Filadelfo. Nei livelli inferiori dell'edificio è però testimoniata anche la fase romana: sotto il piano di calpestio sono visibili i resti di una villa rustica di età imperiale, a cui si sovrappone una necropoli altomedievale (VI-VII secolo). Sorta nel X secolo (ma poi ristrutturata nel '300) è anche la Chiesa di Santa Maria che domina il complesso nel quale svetta con i suoi 15 metri di altezza l'antica torre campanaria.

 

La collina della Civitella (leggi scheda) è la successiva fermata: si sale fino agli 800 metri della vetta per scoprire il sito immerso nel castagneto secolare. I resti di una cinta muraria in blocchi di arenaria, databile all'inizio del IV secolo, circondano su tre lati la cima del colle, alla cui sommità sono stati in piccola parte scavati anche i residui dell'antico abitato. Nei punti in cui la fortificazione è meglio conservata (anche per quattro o cinque filari di pietra), si può ammirare ancora la perizia e la precisione della fattura. Tra i varchi di accesso nel circuito murario, notevole è la Porta Sud: aveva una copertura a pseudo-arco con blocchi curvilinei e un doppio ingresso, a tenaglia, per una difesa più efficace.

 

L'itinerario archeologico prosegue verso sud, arrivando a Roccagloriosa. Qui ci sono i resti di un insediamento riferibile a gruppi del popolo lucano, fiorente tra IV e III secolo a.C., difeso nella parte alta da un circuito murario, in parte ricostruito lungo il percorso di visita del parco archeologico situato sul colle Capitenali. Spiccano in questo contesto le tombe monumentali a camera e con copertura a doppio spiovente, della seconda metà del IV secolo a.C. Nei due antiquaria allestiti nel centro storico (nella Chiesa di Santa Maria ad Martyres e in Piazza del Popolo) si ammira lo splendore di alcuni dei ricchi corredi rinvenuti nelle necropoli: gioielli, vasi greci, armi metalliche e suppellettili in bronzo e terracotta.

 

Palinuro non è solo una rinomata località balneare, ma pure un luogo di archeologia. Gli scavi nell'area hanno rivelato le tracce di un insediamento attivo sin dall'età arcaica (VI secolo a.C.). Testimonianza dei corredi rinvenuti nelle necropoli del sito è il locale Antiquarium, con ceramica di produzione indigena e greca, risalendo al periodo tra il V e il IV secolo a.C.

 

Poco più a sud lungo la costa Policastro reca le tracce della città romana di Buxentum, fondata all'inizio del II secolo a.C. sul luogo del precedente insediamento magno-greco di Pyxous. Un tratto della via principale di età romana è visibile nel centro storico in cui il più evidente segno del passato sono le mura rimaneggiate in varie epoche, fino al medioevo, che in alcuni punti conservano ancora parti in opera poligonale con blocchi di calcare, risalenti al V secolo a.C.

 

Le vestigia di epoca romana si trovano anche a Sapri dove i resti di una grande villa marittima si notano attraverso gli scavi che hanno riportato in luce una parte dell'impianto termale e del peristilio risalenti ad età imperiale. Altri elementi (ambienti voltati e tracce del molo) sono visibili direttamente sul litorale.

 

Da Sapri ci dirigiamo verso il Vallo di Diano, territorio in cui i segni del lontano passato sono osservabili soprattutto in alcuni piccoli e preziosi musei. Dal Museo della Lucania Occidentale, ospitato nell'eccezionale scenario della Certosa di San Lorenzo a Padula, agli antiquaria di Sala Consilina e Atena Lucana, che con i loro reperti offrono uno spaccato dell'area dal IX secolo a.C. all'età tardo-romana e alto-medievale.

 

Prima di proseguire verso nord, una deviazione nell'interno per cercare un piccolo e misterioso simbolo di un'epoca remota: nei pressi del paese di Sant'Angelo a Fasanella, in località Costa Palomba, a 1125 metri di altezza, si scorge il cosiddetto "Antece" (l'antico, in dialetto), il guerriero dei Monti Alburni. Un rilievo scolpito nella roccia, databile probabilmente al IV secolo a.C., rappresentante a grandezza naturale, un combattente vestito con chitone e armato di scure e scudo. Raffigurazione di un eroe o una divinità, isolato testimone della presenza qui di un antico sito fortificato.

 

Risalendo il Vallo di Diano, arriviamo infine a Buccino. Qui il Parco archeologico urbano ci offre la possibilità di ripercorrere le fasi insediative di quella che era l'antica Volcei. Già nei secoli precedenti l'area fu interessata da insediamenti di cultura italica, ma è in età romana, a partire dal III secolo a.C., che il sito assume la fisionomia di una vera e propria città, i cui resti sono presenti in varie parti al di sotto del paese moderno, che conserva anche vistosi elementi di epoca medievale, su tutti il castello normanno sulla cima del colle.

I resti del Foro sotto piazza Amendola, il tempio di via Santo Spirito, l'isolato di via Canali con i suoi pavimenti a mosaico sono alcune delle vestigia visibili nell'itinerario di visita, arricchito anche dal complesso rupestre di via Egito, costruito a partire dal VI-VII secolo sfruttando un terrazzamento su tre livelli. Per completare il percorso, una visita al locale Museo Archeologico che con reperti e ricostruzioni illustra la storia del sito.

 

 

 

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